Psicologia

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PSICOLOGIA

La comunicazione virtuale, soprattutto quella che ci permette Facebook, espone le persone che ne fanno uso ad un transfert idealizzato.

Ma che cos’è un transfert?

Il transfert è un meccanismo con il quale la nostra mente, più o meno consciamente, sposta gli schemi di pensiero da relazioni particolarmente significative del passato, alle relazioni interpersonali attuali.

Nelle normali relazioni umane (tra amanti, tra maestro e discepolo, istruttore ed atleta, sacerdote e assemblea, capufficio e impiegati, ecc.) questo transfert è in uno stato di reciproca inconscietà ed altera le relazioni attuali basandosi su vecchie esperienze e condizionamenti appresi.

Questa spinta transferale è evidente nella comunicazione su Facebook: se si osservano i contatti soprattutto tra nuovi amici, appare evidente fin dall’inizio una familiarità ed una confidenza che non sarebbe mai possibile in una interazione reale: i due “nuovi” amici probabilmente senza nemmeno accorgersene (partendo, per esempio, dal commento di una semplice foto) proiettano sull’altra persona le precedenti esperienze personali.

L’assenza del viso dell’interlocutore, del timbro della sua voce, dell’espressività motoria e mimica, che sono tutti elementi che fanno da  supporto alla comunicazione interpersonale, danno spesso luogo, all’interno di un mondo digitale come facebook, a infiltrazioni di confusi stati emozionali.

Se nel gruppo di amici che è in interazione vi è qualcuno che urta la nostra suscettibilità possiamo ignorarlo totalmente, o alle lunghe eliminarlo dalla nostra interazione con un semplice clic! del mouse.

 L’interazione transferale su Facebook è incline alla idealizzazione proprio perché mancano tutta una serie di fattori che nella vita reale sono basilari per formulare un  giudizio sull’altro: aspetto estetico, odore, gradevolezza o meno della voce, ecc. Tutti, nascondendosi dietro lo schermo di un computer, tendono a mostrare solo il meglio di sé, difficile infatti trovare scritto: “Guarda che sono avaro, guarda che sono violento, guarda che sono presuntuoso, ecc.”.

Una delle ragioni principali per cui la stragrande maggioranza degli utenti si iscrive a Facebook è proprio il tentativo, più o meno consapevole, di alleviare la propria solitudine (anche se vi sono altre ragioni). La vita frenetica dei nostri tempi, l’organizzazione di scuola, sport, lavoro  ha lasciato sempre meno spazio a quell’interazione umana, piacevole e gratificante (e soprattutto importante per il nostro benessere) che fino ad un paio di generazioni passate si svolgeva nelle piazze e nei bar.

Un’altra delle caratteristiche di Facebook che è molto lontana dall’interazione reale è quella della maggiore disinibizione nelle manifestazioni emozionali. Ciò è dovuto molto probabilmente all’assenza dello sguardo dell’interlocutore, il che ci rende più sicuri e spavaldi.

 Su Facebook ci mostriamo ma, paradossalmente, nessuno ci guarda!

L’eventuale frustrazione a seguito di una non riuscita, in questa relazione, produrrà però una delusione ancora maggiore!

In un interessante studio sociologico sono stati divulgati i dati sulla socializzazione degli utenti registrati su Facebook.:

il numero medio di amici per utente è 120.

 Ma anche quando l’utente raggiunge una lista di 500 amici esiste un ragguardevole scarto tra questo numero e l’effettiva socializzazione:

un uomo invia commenti a 17 amici e si intrattiene in chat o scambia e-mails con 10 di loro;

 la donna è mediamente un po’ più socievole ed invia commenti a 26 amici e chatta o scambia messaggi di posta elettronica con 16 contatti su Facebook.

L’interpretazione più plausibile di questi dati può essere riassunta con una sola parola approvazione, infatti, l’utente va alla ricerca delle persone che la pensino come lui per avere di conseguenza un riscontro positivo di se stesso.

 Proprio a causa di questa continua ricerca di una immagine positiva di sé, l’utente rafforzerà inevitabilmente un rapporto sempre più dipendente dal social network, piuttosto che dalla vita Reale.

Un altro fenomeno che ci fa capire bene questo rapporto di facebook-dipendenza consiste nel continuo e spasmodico controllo delle notifiche (sono un piccolo avviso che compare, con un numero rosso, in basso a destra sulla pagina che ci avverte che qualcuno dei nostri amici ha commentato un oggetto virtuale come foto, link, video, commento, etc. su cui stiamo interagendo)

  da parte dell’utente. L’assenza di un continuo aggiornamento del proprio profilo rende ansiogeni i propri amici e diffusi sono messaggi allarmati del tipo: “Ma non hai aggiornato il tuo stato: che succede?”.

Inoltre, in Facebook ogni utente ha un muro virtuale su cui sia lui, che tutti gli amici a cui ha concesso la possibilità, possono scrivere i loro commenti.

Ed in questo caso è ben visibile l’esistenza di una ipervalutazione delle proprie produzioni (per esempio, dei propri stati, delle proprie foto, ecc.) in parte dovuta al fatto che le cose su Facebook si scrivono e non si dicono (e scrivere su un computer è molto più facile che parlare a quattr’occhi) ed in parte ricollegabile proprio al fatto che l’utente sa cosa scrivere per ottenere maggiore approvazione da parte dei suoi amici, ed è proprio quello che scriverà.