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“Il fu Mattia Pascal”:

ESSERE e APPARIRE, tema caro a Pirandello

Con il romanzo “Il fu Mattia Pascal” un Luigi Pirandello non ancora quarantenne tratta un tema che sarà una presenza quasi costante nella poetica del suo teatro, quello della dicotomia tra l’essere (noi stessi) e l’apparire (agli altri).

Mattia Pascal si allontana volontariamente da Miragno, il paesino in cui vive, e dalla moglie; fugge da un ambiente nel quale ha cercato di affermarsi senza riuscirvi, “cosa avevo in comune con questa gente?”, e si reca a Montecarlo dove, assistito dalla fortuna e nel giro di pochi giorni, riesce ad accumulare una somma sostanziosa. Diventato ricco può tornare a casa ma, sulla via del ritorno, legge su un giornale la notizia del ritrovamento del suo cadavere: si è ucciso per dissesti finanziari. Comprende di avere la possibilità di vivere un’altra vita, “sono libero da Mattia Pascal”; si crea una nuova identità, Adriano Meis, e viaggia molto sino a stabilirsi a Roma.

Qui comprende, però, che il mondo e le relazioni che si è creato intorno sono fittizie, non ha un’identità, di conseguenza non può sposarsi con la donna che ha conosciuto, non può svolgere alcuna attività ufficiale, non può neanche denunciare un furto avvenuto ai suoi danni: per la società che lo circonda Adriano Meis non esiste. ”Avrei potuto costruire una vita nuova a modo mio” ma non può vivere la vita che vuole vivere, quella di Adriano Meis appunto; gli è imposta la maschera di Mattia Pascal, è prigioniero della vita, della trappola che gli è stata data.

Finge il suicidio – muore, così, per la seconda volta – e torna nel suo paesino dove scopre che la moglie si è risposata e non c’è più posto per lui; con l’aiuto del suo solo, vero, amico si rinchiude, allora, nella biblioteca comunale dove aveva lavorato e dove scriverà la sua strana vicenda imponendo l’obbligo di aprire il manoscritto soltanto dopo la sua terza, definitiva morte.

Mattia Pascal è l’emblema dell’uomo incapace di realizzare le proprie aspirazioni, prova a sfuggire ad una vita che non accetta e alla quale si ribella (l’oppressione della famiglia, il lavoro insoddisfacente) per costruirne un’altra a lui più congeniale. E’ una fuga dalla realtà verso un sogno, ma non c’è alcuna crescita: Mattia Pascal concluderà il suo cammino vivendo la sua terza vita nel suo paesino, isolato da tutti, condannato alla solitudine, chiuso in quella biblioteca dalla quale aveva provato a fuggire. E’ una sconfitta assoluta, totale. Ora sa che non è possibile liberarsi dei vincoli e dei rituali che ci impone la società creata dall’uomo, nella quale viviamo. Fuori da questi vincoli e rituali non è possibile vivere: la realtà annienta i sogni dell’illusione, l’aspirazione alla libertà di scelta. Questa è la condizione umana.

 IL FU MATTIA PASCAL
Il mondo in una maschera

“LA MASCHERA DI PIRANDELLO”

E’ estremizzato il bisogno dell’uomo di darsi una maschera per vivere in società, forma che oltre ad essere, secondo l’autore, necessaria è anche difficilmente sostituibile dato che l’individuo, o meglio la sua maschera, dal momento in cui nasce vanno a far parte di un gran meccanismo che non può rompersi e per questo, ognuno è costretto a recitare la sua parte senza neanche chiedersi il perché. Se in quest’immenso gioco si prova a “bluffare”, si è destinati a fallire e nel migliore dei casi bisogna tornare ad essere una delle tante pedine; l’unico modo per estraniarsene è non essere più utili per il proseguimento della partita, in altre parole o morire o impazzire, le sole condizioni in cui ci si può, forse, considerare liberi.

L’uomo non ha una sola identità, ma tante quante gli altri gliene attribuiscono. Quando la certezza dell’essere se ne va costatando che gli altri ci vedono in modo, anzi, in miliardi di modi (un modo per ogni altro) diversi da come ci vediamo, da come avevamo creduto di essere da sempre, le certezze si disgregano, si “impazzisce”, si capisce che ognuno di noi è una persona diversa per tutti gli altri, ogni persona vede, percepisce, prende di noi cose diverse, e non i tratti salienti da noi usualmente considerati (ciò si può vedere anche nel libro “Uno, nessuno e centomila”).

   Ci si atteggia a qualcosa che non si è, si modifica qualcosa di cui non si è sicuri e perciò ci si rende ridicoli: quindi noi continuamente ci mascheriamo, per convenire alle aspettative della gente, alle convenzioni sociali.

“LA MASCHERA DI FACEBOOK”

Internet potrebbe rappresentare la libertà da ogni tipo di coinvolgimento, opinione, parentela, calato nella blogosfera  e nelle chat di Facebook e altri social network.

Il fatto è che Internet può passare da liberatore a padrone in men che non si dica. Il dualismo identità/personalità è entrato “in commercio” con il web, dando la possibilità a chiunque di mascherarsi, re-inventarsi, creare ex novo un personaggio che a lungo andare può diventare qualcosa di più.

Sherry Turkle, sociologa definisce ciò che potremmo chiamare personalità virtuale come “il sé frammentato che emerge dal rapporto vissuto all’interno della rete”. La ricercatrice vede nel web l’opportunità di entrare in contatto con i lati diversi della nostra personalità. Zygmunt Bauman invece usa la sua lucida ironia: “Oggi le identità si indossano come magliette, si possono sostituire quando non servono più”. È questo infatti un confine sottile che trasporta la voglia di apparire in vero e proprio essere.

Il rischio della continua ricerca di atteggiamenti per apparire é di crearsi un profilo non reale che presenta solo l’immagine migliore di sè, ma che può portare a vivere nella paura che gli altri scoprano il tuo vero volto, la tua vita normale, che dici cose normali e che l’incantesimo si rompa per sempre, creando così una sorta di  psicosi con conseguenze a volte anche drammatiche.

Viviamo in una società dove le apparenze ormai sono più importanti   dell’ESSERE  delle persone.

 Anche se l’apparire in tanti casi vince, c’è da sperare che i suoi effetti secondari inneschino prima o poi il movimento opposto cioè la ricerca di autenticità e di liberazione interiore.

Nel mondo attuale viviamo in mezzo a varie contraddizioni  nelle relazioni personali tra finzione, vuota apparenza oltre alle incongruenze di una società, immersa nei mass-media, che ci inculcano modi di vita basati sulla superficialità.

Il social network ci offre tante voci, tanti punti di vista, tante possibilità di essere noi stessi o di metterci una nuova maschera. L’importante è che siamo sempre noi, variabili distinte che popolano questo piccolo grande Mondo, a scegliere chi e come essere, sfruttare le opportunità di uno strumento utile e valido quale Internet, essere social(i) senza dimenticare però chi realmente siamo. Che da noi stessi non si scappa ma